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Giro in bici Oriolo-Bicoca-Orvieto

gruppo-bici-ztlIl racconto della cicloscampagnata del 17 e 18 ottobre 2015

[di Paolo Andruccioli]
Gianpiero, Simone, Luca e Paolo. Non sono i quattro evangelisti, né quattro dei 12 apostoli, anche se Simone, chiamato Pietro, faceva parte della squadra di Gesù di Nazareth e Luca era uno dei quattro scrittori dei Vangeli. Più prosaicamente Gianpiero, Simone, Luca e Paolo sono i protagonisti della prima ciclo-scampagnata invernale di Ztl. Questa volta abbiamo scelto un percorso da spalmare su due giorni, sabato 17 e domenica 18 ottobre. Come ormai è tradizione, la ciclo-scampagnata è stata anche un’occasione per fare cicloturismo ferroviario. Siamo infatti partiti dalla stazione Ostiense di Roma diretti a Oriolo, da dove è cominciata la prima tappa.

L’obiettivo della giornata era l’agriturismo Bicoca (Viterbo), dove ormai siamo quasi di casa. Un posto molto bello nella campagna della Tuscia viterbese, con una struttura e una logistica che risultano favorevoli al cicloturismo. Per arrivare alla Bicoca, dove avremmo mangiato e pernottato, da Oriolo avevamo molte strade da imboccare, ma avendo calcolato i chilometri da percorrere e visto il grafico altimetrico, abbiamo pensato di “maggiorare” il chilometraggio scegliendo una deviazione verso Tolfa. Una scelta sportiva, motivata anche dalla bellezza della cittadina. Ma una scelta che poi abbiamo sentito sulle gambe, visto il salitone verso Tolfa, dopo essere passati per Monte Virginio e Canale Monterano. Le scelte si pagano sempre e come si usa dire, nessuna salita ti regala niente.

Lasciata Tolfa, dopo un pranzo abbastanza veloce a base di panini e birra, abbiamo ripreso il viaggio verso La Bicoca. La strada a questo punto era diventata abbastanza vivibile e dopo i passaggi a Civetella Cesi, Blera e Vetralla, ci siamo diretti verso l’agriturismo. L’unico vero problema è stata una strada “bianca”, molto dissestata, che a mala pena era indicata sui nostri strumenti. Strada provinciale? Strada comunale? Sentiero? Carrareccia? Per molte delle strade della nostra regione (ma forse il discorso si può estendere anche ad altre zone del Paese), l’indicazione rimane spesso un po’ vaga. La strada la trovi, ma non sempre puoi prevedere ciò che ti aspetta. E anche nella nostra prima giornata della scampagnata nella Tuscia, abbiamo potuto verificare in prima persona questa incertezza geo stradale. Abbiamo infatti battuto una strada che sarebbe risultata scomoda anche per i fuoristrada, figuriamoci per bici turistiche come le nostre (una Cinelli Hoy Hoy, una Cinelli Gazzetta della Strada, una Cinelli Racing) e una bici corsa pura come la Saetta Cinelli di Gianpiero.

Superata la prova carrareccia (a scapito dei freni, dei polsi e delle spalle), ci siamo rimessi in cammino su strade più o meno normali e nel pomeriggio siamo arrivati alla Bicoca. Passando davanti a vari piccoli bar campagnoli c’era venuta spesso la tentazione di prenderci un dolce o un gelato per riprenderci dalla polvere. Ma è stato saggio chi ci ha fermato dicendo: “Attenzione, alla Bicoca ci attende un the con la crostata alla marmellata”. Il digiuno da bar è stato così premiato da una crostata dal sapore e dalla consistenza sublimi. Un assaggio di quello che sarebbe stata da lì a poco la cena. Tralascio qui (per pudore) la descrizione del menù. Faccio uno sgarbo ai nostri ospiti dell’agriturismo, ma non parlando dei singoli piatti (tutti di livello quattro stelle) cerco di non svelare le quantità di cibo che i quatto ciclo-apostoli hanno ingurgitato in una sola serata, con la scusa delle decine di chilometri percorsi da Oriolo.

La mattina del 18 ottobre, domenica, siamo ripartiti a metà mattina verso Orvieto dove avremmo preso un treno nel pomeriggio per Roma. La squadra nel frattempo si era ridotta, da quattro a tre. Simone si era infatti svegliato quasi piegato su se stesso per un forte mal di schiena che aveva dato i primi segnali già dalla sera prima. Una scelta obbligata visto che il nostro amico mostrava difficoltà a scavallare la sella della sua Hoy Hoy tanto forte era il dolore. Dopo averlo salutato ci siamo preparati e siamo partiti. Abbiamo avuto però una piccola difficoltà nel lasciare la tenuta della Bicoca perché un cagnetto della casa ci ha seguito fin quasi alla strada provinciale. Un cagnetto incredibile, che dopo aver subito un grave incidente (è finito sotto un’auto) e un’operazione molto delicata, ora corre in modo scomposto e improbabile, ma con una forza commovente. Abbiamo dovuto chiamare i nostri amici della Bicoca per venirselo a riprendere, altrimenti ci avrebbe forse seguito anche su strada.

Ripresa la tappa normale ci siamo diretti verso Viterbo da dove avremmo imboccato la strada verso Orvieto. Arrivati a Viterbo, abbiamo girato a sinistra prima della porta Faul, dove un’epigrafe ricorda che l’apertura della porta avvenne nel 1568. Anticamente si chiamava Porta Farnesiana (in onore di Alessandro Farnese), ma fu il popolo di Viterbo a ribattezzarla Porta Faul perché permetteva di entrare nella Valle di Faul. Noi siamo entrati invece sulla via Teverina, una strada che sulle mappe si trova a metà tra le strade che portano a Montefiascone e quelle che portano ad Amelia. Nel percorso verso Orvieto abbiamo ad un certo punto incontrato il bivio per Ferento. E visto che eravamo abbastanza ben messi con gli orari, abbiamo fatto tappa al sito archeologico. A Ferento ha sede l’antico teatro romano dove d’estate si continuano a mettere in scena commedie e tragedie. Sono gli svedesi, a partire dal re Gustavo VI ad avere il merito degli importanti ritrovamenti archeologici che testimoniano delle antiche radici etrusche e romane della zona, con il teatro e i resti della città di Acquarossa. Oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Viterbo è possibile ammirare alcune statue in marmo raffiguranti i personaggi della tragedia e della commedia greco-romana che erano posizionate nel frontescena del teatro. A voi lettori di queste cronache è invece concesso solo di vedere le foto dei ciclo-turisti davanti al teatro.

Lasciate alle nostre spalle le belle immagini della tragedia greco-romana (davanti a quell’antico teatro sembrava quasi di sentire le voci degli attori lontane nei secoli), siamo ripartiti, sempre in tre, Gianpiero, Luca e Paolo, verso Bagnoregio e Civita. Avevamo l’obiettivo di pranzare in uno dei due piccoli paesi e magari visitare Civita, messa su un cucuzzolo e raggiungibile solo attraverso una sorta di ponte sollevato nel vuoto. Siamo passati prima a Bagnoregio, poi ci siamo inoltrati nelle stradine di Civita dove è difficile transitare anche a piedi, figuriamoci in bici. Ma è stata grande la nostra sorpresa quando il corpulento custode dell’entrata a Civita di Bagnoregio ci ha detto che non potevamo entrare con la bicicletta. Sono state vane tutte le nostre obiezioni sul fatto che la bici è come un passeggino. Allora anche i passeggini andrebbero parcheggiati fuori da Civita? Tutto inutile, sono le disposizioni del Comune. Gianpiero ha provato a insistere e Luca ha chiesto la mail del Comune per inviare un messaggio di protesta. Ma il risultato è stato che abbiamo dovuto fare dietrofront e tornare a Bagnoregio dove abbiamo pranzato in una caverna adibita a taverna. Visto quello che avevamo mangiato la sera prima all’agriturismo, ci siamo tenuti abbastanza leggeri, dividendo in tre due pasti, tipo quelli da sagra, un primo, insalata, un secondo e qualche fetta di torta che gli avventori che ci avevano preceduto ci hanno gentilmente regalato.

Davanti a noi, per chiudere i due giorni di ciclo-scampagnata, avevamo allora solo i chilometri che ci separavano da Orvieto. Non avevamo visto il profilo altimetrico, se non il giorno prima. Sui telefonini abbiamo avuto qualche difficoltà a scaricarci le immagini tratte da Internet. Ma le sorprese non ci sono state. La strada è filata liscia e siamo arrivati abbastanza comodamente a Orvieto scalo, pieno di turisti, di fronte al grande ascensore che porta in città. Qui il comune ha fatto una scelta radicale da anni a proposito di mobilità urbana e di automobili nei centri storici. Fatti i biglietti ci siamo dunque diretti al binario dove era in arrivo il treno per Roma. Ma è stata grande la sorpresa di incontrare una ventina di ciclisti che tornavano da un giro organizzato da Ruota libera. E mo’ come saliamo sul treno? La stessa domanda che ci ha fatto un ragazzo di Roma che era in bici con la sua compagna. Abbiamo quindi preso l’unica decisione possibile: siccome i venti di Ruota Libera erano schierati all’altezza della prima carrozza del treno regionale, noi cinque, i due ragazzi di Roma, io, Luca e Gianpiero, ci siamo diretti verso l’ultima carrozza. Per fortuna siamo riusciti a trovare posto e così abbiamo sistemato le nostre bici sulle apposite rastrelliere. Arrivati a Tiburtina abbiamo trovato il nubifragio. Era da prevederlo, visto che questa volta – a differenza di tutte le altre uscite – la pioggia ci aveva risparmiato.

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